Dalla lontana “rivolta dei Boxer”, Cina inizio '900, passando per il numero imprecisato di morti in Murmania 1918/19 ai tredici aviatori di Kindu (Congo) 1961 agli otto della guerra di Croazia e Bosnia Erzegovina inizio anni '90 ai sette in Somalia ai diciassette di Nassirya (Iraq) a quelli dei giorni nostri in Afghanistan, è dolorosamente lunga la lista dei nostri uomini morti in tempo di pace.
Inevitalmente ad uno scenario di guerra, nella fase susseguente ai veri e propri cruenti scontri fra eserciti o fazioni contrapposte si deve necessariamente andare ad un passaggio intermedio cosidetto in gergo internazionale “peacekeeping”.
E' questo un periodo particolarmente difficile e pericoloso, la fragilità dei rapporti fra i contendenti è palpabile.
Vi è il rischio evidente che si sovrapponga ad una situazione di conflitto conclamato, conflitto che come tutte le situazioni di guerra lascia dietro di sè una scia praticamente interminabile di dolori, rancori vendette, un periodo di solito breve di un qualche ritorno alla normalità per poi pericolosamente scoppiare come rivolta se non odio verso chi è venuto in pace, per portare aiuti umanitari a quella parte del paese di solito la più colpita; i civili.
Queste missioni di pace normalmente dovrebbero portare alla stabilizzazione della situazione, devono però avere la forza di “imporre” i trattati di pace e le nuove regole.
Trattati e nuove regole che normalmente vengono decisi a migliaia di chilometri dai paesi o dalle fazioni in lotta.
E' quindi evidente che tali missioni di pace nascondono al loro interno grandi pericoli, chi viene mandato in quelle zone a rischio deve essere preparato ad affrontare situazioni difficili e pericolose.
A queste missioni di pace partecipano attivamente i nostri militari migliori.
Come Alpini, noi che fortunatamente per la maggior parte almeno non abbiamo partecipato ad alcun conflitto dobbiamo dare a questi soldati il massimo appoggio.
Sentiamo molti che dicono: vanno là perchè si guadagna, vanno là Alpini che vengono dal Sud, i nostri , quelli che vanno alle manifestazioni politiche con il Cappello calzato, i più furbi? restano a casa.
Il primo caporale Miotto era delle nostre valli, così care agli Alpini D.O.C.Vi è una qualche differenza tra chi va volontario e il militare modello “naja” obbligatoria?
Personalmente credo di si.
Io stesso ho svolto il periodo di leva nel 1973, vedevo attorno a me, scarse motivazioni, la vita militare era vista come una perdita di tempo ed ancora peggio come una jattura.
I mezzi di comunicazione di oggi ci consegnano dei volti e delle motivazioni diverse da parte dei nostri uomini e donne in armi. Vediamo la faccia pulita della nostra Patria, giovani in grado di assumere determinate responsabilità. Praticamente, nessuno di chi ha fatto la leva obbligatoria ha puntato un'arma carica verso un essere umano ed il dover decidere se premere o no il grilletto penso sia una responsabilità immane.
Quindi giovani, uomini e donne, deteminati niente a che vedere con certà gioventù propinata dalla televisione o bollata dalla politica come “bamboccioni”.
E' a questa parte di nostri uomini e donne che dobbiamo come Alpini dare sempre la nostra solidarietà, il nostro apprezzamento e dire il nostro
GRAZIE
Roberto Vuerich